Affondare l’anima nella gioia

L’ombra che ho frugato ormai non mi appartiene.
lo ho la gioia duratura dell’albero,
l’eredità dei boschi, il vento del cammino
e un giorno deciso sotto la luce terrestre.
Non scrivo perché altri libri mi imprigionino
né per accaniti apprendisti di giglio,
bensì per semplici abitanti che chiedono
acqua e luna, elementi dell’ordine immutabile,
scuole, pane e vino, chitarre e arnesi.
Scrivo per il popolo per quanto non possa
leggere la mia poesia con i suoi occhi rurali.
Verrà il momento in cui una riga, l’aria
che sconvolse la mia vita, giungerà alle sue orecchie,
e allora il contadino alzerà gli occhi,
il minatore sorriderà rompendo pietre,
l’operaio si pulirà la fronte,
il pescatore vedrà meglio il bagliore
di un pesce che palpitando gli brucerà le mani,
il meccanico, pulito, appena lavato, pieno
del profumo del sapone gua!derà le mie poesie,
e queste gli diranno forse: «E’ stato un compagno».
Questo è sufficiente: questa è la corona che voglio.
Voglio che all’uscita di fabbriche e miniere
stia la mia poesia attaccata alla terra,
all’aria, alla vittoria dell’uomo maltrattato.
Voglio che un giovane trovi nella scorza
che io forgiai con lentezza e con metalli
come una cassa, aprendola, faccia a faccia, la vita,
e affondandovi l’anima tocchi le raffiche che fecero
la mia gioia, nell’altitudine tempestosa.

[Pablo Neruda]

#scrivimisulcuore

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La giusta distanza

Vattene amore, che siamo ancora in tempo.
Credi di no? Spensierato sei contento.
Vattene amore, che pace più non avrò, né avrai: perderemo il sogno.
Credi di no?
[…] Vattene amore, mio barbaro invasore.
Credi di no? Sorridente truffatore.
[…] Il nostro amore sarà lì, tremante e brillante così.
[…] E il tuo nome sarà il freddo e l’oscurità,
[…] il tuo amore sarà un mese di siccità,
e nel cielo non c’è pioggia fresca per me
ed io col naso in su la testa ci perderò
[…] ed io col naso in su la testa ci sbatterò,
sempre là, sempre tu.

[Amedeo Minghi; Pasquale Panella]

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